Wie ich per Luftpost zur Schriftstellerin wurde
a Ornella
„Era veramente un’ottima cenetta“, dissi, quando finimmo di mangiare il ristorante „Saltimbocca“.
„E adesso, cosa facciamo?“ chiese Fulvia, la mia amica. „Prendiamo ancora una caffetteria?“
„Come no! Ce n’è una in Viale Salsa.“
„Cameriera, può portarci il conto, per favore? — Offro io“, disse Fulvia, che aveva soldi a bizzeffe da quando gestiva il negozio: „Tortellini e Quattrini Fatti a Mano“.
La cameriera venne: „Ecco il conto, signore: un primo piano, un secondo, una terrazza aglio olio e peperoncino, una grondaia asciutta, un camino affumicato … sono tredici milioni di euro, più il servizio e la copertura tredicimilioni e tremila.“
„Caspita!“ esclamó Fulvia, „così poco? Ho solo una banconota da quindici milioni.“
„Non ho da darle il resto. Forse vorrebbe mangiare ancora un boccone? C’è uno squisito ascensore saltato, per esempio …“
„No, grazie, gli ascensori mi fanno venire il singhiozzo.“
„Poi, c’è una soffitta ai quattro venti.“
„Benissimo! Può incartarcela?“
„Ma è troppo meravigliosa per essere nascosta in un pacchetto! Ha già vinto sette concorsi di meraviglia.“
„E come facciamo a portarla a casa?“
„Posso darle una carrozza ristorante, per il trasporto.“
„Va bene.“
„Però – nella carrozza abita una mozzarella.“
„Meno male! Così abbiamo compagnia.“
Di fatto andammo d’amore e d’accordo con la mozzarella, che era un tipo chiaro e tondo, con il cuore tenero.
Partimmo in tre, con la carrozza ristorante e, sopra, la soffitta meravigliosa. La cameriera ci diede anche un giardino avvolgibile, e ovunque ci fermassimo lo stendevamo ed eravamo felici di sederci sotto gli alberi da frutta e di sentire gli uccelli cinguettare.
Una volta in viaggio andavamo sempre più avanti, attraversando mari, monti e ponti d’oro – con una carrozza ristorante, si può combinarne di cotte e di crude.
Un giorno piovoso ci arrampicammo sulla soffitta meravigliosa e facemmo la conoscenza di:
una carota molto in gamba,
un gelsomino nel fior degli anni,
un guanto imbottito che toccava il cielo con un dito
e un rubinetto gocciolante con tanta gentilezza che con ogni sua goccia poteva sciogliere una pietra in un cuore.
Così fummo in sette.
Viaggiando, ci rendemmo conto ben presto che il mondo prendeva una brutta piega; e non solo una. Ovviamente c’era gente che non sapeva come si usa il ferro da stiro e cercava invece di piegare il mondo alla propria volontà.
„Facciamo una raccolta di ferri da stiro“, propose il rubinetto.
„E poi?“ chiese il guanto.
„Fabbrichiamo una torre di ferri“, disse la carota.
„Costruiamo un ferri-boat“, si rallegrò la mozzarella.
„Prendiamo il ferro per la salute!“ esclamò il gelsomino.
„Per uno stomaco di ferro“ aggiunse il guanto.
„Festeggiamo ogni giorno ferra-gusto“, dissi.
Fulvia fu entusiasta: „Sì! Prepariamo le cene ai ferri!“
E così iniziammo.
Ma non funzionava.
I grandi stiratori tenévano i loro strumenti con braccia di ferro e affermavano con fervore che loro stiravano senza fare una piega.
Allora pensammo di fare noi stessi delle belle pieghe. Ci mettemmo in cammino, ognuno con il suo ferro da stiro. Ma che casino facevamo! Perbacco, come si fa a fare delle belle pieghe?
Venne una gruccia, nata con la camicia già stirata, e organizzò un workshop: „Stirare come i grandi stiratori“. La carota ci andò e ritornando dichiarò che bisogna stirare sulle pieghe degli altri. Il guanto partecipava al gruppo: „Stirare e stare bene“ e affermò di conoscere l’unico modo di fare le pieghe giuste.
Ogni sera litigavamo. Persino io e Fulvia alzavamo la voce. Il rubinetto piangeva. La mozzarella era depressa.
Alla fine dovevamo ammettere che non sapevamo come dare una bella piega a tutto il mondo; e nemmeno quale fosse la bella piega.
In questo momento di incertezza mi arrampicai nella soffitta meravigliosa per cercare una sciocchezza. In un angolo trovai un magnete. ‘Magnifico’, pensai. ‘Chi sa che cosa può attirare?’ e lo portai nel giardino.
A volare per l’aria fino ad attaccarsi al magnete fu una cassetta delle lettere. Dentro c’era una busta. Dentro la busta una licenza poetica. Mi sedetti sotto un ciliegio e incominciai a scrivere.
E così diventai scrittrice per via aerea, un giorno in cui il sole cantava e le nuvole s’increspavano, le api ronzavano di fiore in fiore, le bacche del sambuco luccicavano nere nere e il suolo si mosse, sollevato da una talpa, e divenne un mucchio di terra. Un giorno tra amiche e amici, fra problemi irrisolti, in un mondo troppo stirato; in un giardino avvolgibile, vicino a una carrozza ristorante e a una soffitta meravigliosa, dove si trovavano ancora chissà quali miracoli.